lunedì, maggio 12, 2008

CUBA-2

28/04/2008
Oggi si viaggia, direzione Santa Clara.
Ci accorgiamo subito che non sarà facile: la segnaletica è quantomeno lacunosa, per non dire inesistente, e senza una pianta ci proviamo.
Troviamo l’autopista, una larga striscia di asfalto, occupata dai più disparati mezzi di trasporto:si va dalle auto più recenti, come la nostra 206 presa a nolo,passando per i camion del primo dopoguerra (con scarico diretto, e quindi fumo nero ad ogni dislivello), arrivando poi ai pullman e finendo con stracarichi carretti trainati da stanchi e vecchi cavalli(uno per carretto, due potrebbero oltrepassare il limite di velocità), senza dimenticare inoltre le biciclette e i pedoni, anche contromano....
Dopo quasi un’ora di tragitto incontriamo un murales, sulla spalla di un ponte, dal volto familiare: sembra la stessa faccia del CHE incontrata la sera prima nel tragitto aeroporto-L’Avana.
Ma in un paese dove ogni pietra trasuda incitamenti alla rivoluzione, potrebbe essere solo un doppione.
Ma al secondo, e ancor di più al terzo, la convinzione lascia il posto alla disperazione: SIAMO TORNATI A L’AVANA!!!
Con rassegnazione si riparte, proviamo a cambiare strada, e questa volta ci va bene.
Prendiamo la Carretera Central, una camionabile sommariamente asfaltata tra un buco ed un altro, che dopo quasi 5 ore ci fa arrivare nel tempio della rivoluzione, passando per posti con nomi già sentiti: Playa del Est, Varadero, Matanzas....
Avete presente le bianche spiagge, le acque limpide di Varadero? Bene, “forse non tutti sanno che” subito prima e subito dopo questi siti ci siano raffinerie e pozzi petroliferi sulla spiaggia, con tanto di divieto di pesca e balneazione....mah....meditate italiani nei villaggi....

Un enorme mausoleo, grande come un paio di campi di calcio, ricorda il Che nazionale.
Una statua in bronzo su un basamento coperto da lastre di pietra bianca di uno stanco e fiero comandante domina la spianata.
Sui fianchi del mausoleo sono raffigurate scene della vita combattente che lo ha reso famoso.
Il museo però è chiuso il lunedì, e quindi ciccia, si va via.
Pensiamo a dove dormire: vediamo una casas particulares, quella indicata dalla nostra guida; ci sembra pulita e carina, ma i modi del proprietario/gestore non ci convincono.
Proviamo all’albergo sulla piazza principale: hall molto “occidentale”, poltrone in pelle verde, grande parete a specchio, tre persone al piccolo banco della reception.
In un cordiale inglese ci ricorda che le stanze sono dotate di aria condizionata e bagno in camera, privato.
Decantato anche dalla guida per il suo ristorante panoramico sito al decimo piano e dal bar terrazza dell’undicesimo, ci lasciamo convincere.
Mai decisione fu tanto rimpianta.
La stanza si rivela un pozzettiano ripostiglio( vi ricordate ragazzo di campagna...taaac) da sei metri quadrati, con un letto matrimoniale incastonato tra le pareti.
Al fianco del letto un condizionatore anni 80, il cui rumore batterebbe sicuramente i più moderni martelli pneumatici.
L’odore che accompagna materasso, cuscini, lenzuola e i corridoi non sono nemmeno lontanamente assimilabili a nulla di piacevolmente conosciuto.
Rassegnati e delusi decidiamo di concederci almeno un a cena coi fiocchi.
Seguiamo, visto il buon consiglio non seguito sulla casas tipica, la guida e scegliamo un ristorantino dipinto come la piccola copia della “bodeguita del medio” de L’Avana.
Forse chi l’ha scritto non ci ha mai messo piede, perchè il locale è una piccola stanza, con 4 o 5 tavoli, corredata di fornello a bombola con cucina modello casa di campagna anni ’50, con un losco figuro a torso nudo, coperto di un grembiule non esattamente da cucina...
Scappiamo!!!
Nel frattempo un’orda di ragazzi del posto ci propone i più svariati ristoranti tipici, gestiti da fratelli madri sorelle fidanzate chicchessia, che decisamente decidiamo di mandare a quel paese.
Nostro malincuore decidiamo di cenare nel ristorante dell’albergo.
Per 12 cuc$ (8.40€)la cena è servita.
Due miseri piatti, due birre, e via a nanna.
Ah, dimenticavo: ogni volta che chiamate l’ascensore si presenta un omino, seduto su uno sgabello all’interno della stessa, che molto svogliatamente pigia i pulsanti facendo il verso a quei deliziosi bambini in divisa rossa, berretto e bottoni d’ottone che “arredavano” i primi sfarzosi ascensori nei lussuosi americani del primo novecento.
Ci chiudiamo occhi, naso, bocca...e orecchie e andiamo a dormire.