giovedì, maggio 29, 2008
venerdì, maggio 23, 2008
CUBA-8
04/05/2008
Enorme, mega rifornita, sontuosa e grassa colazione: carne, polpette, spaghetti, riso, pizza…oltre alla solita valanga di frutta fresca, ai dolci, ai salumi, le uova, gli yogurth, la frutta secca, i cereali di ogni forma e colore, latte succhi di frutta caffè cioccolata tè…
Carichiamo le valige e via per l’ultimo giro per “HABANA VIEJA”.
La fortezza, la piazza( dove sono soggetto involontario di un ragazzo che in 30 secondi, forse meno, mi fa una caricatura, senza nemmeno accorgermene), la Cattedrale.
Passiamo dalla Bodeguita del Medio, un buco per turisti, con un bancone pieno di bicchieri di monito.
Proseguiamo per la città, dove le persone si ritrovano a chiacchierare davanti a case un tempo sontuose, ora decadute e cadenti, dentro i cui cortili, come in gallerie d’arte, sono esposti quadri coloratissimi e allegri, ennesimo contrasto della nostra esperienza cubana.
Giù per Obispo, l’ex convento di S. Francesco d’Assisi e la chiesa, oramai sconsacrata, sede oggi di mostre e di concerti di musica classica.
Qui per la Pek è come tornare a casa: ”Giotto en Padua”, la Cappella degli Scrovegni, in miniatura, è riprodotta nelle sale al primo piano, con tutti i suoi affreschi.
Pausa pranzo ridotta ad un frullato di papaia, un tè freddo, e un mojito.
Quattro passi ancora, a zonzo, e poi via, si parte verso l’aeroporto Josè Martì.
Visto che ci era andata troppo bene, 2 annoiati poliziotti, posteggiati sullo spartitraffico, ci multano perché abbiamo attraversato un metro di linea continua gialla per accostarci a loro a chiedere informazioni:nemmeno il regolamento della Formula 1 è così inflessibile.
Riconsegniamo l’auto e paghiamo a loro la multa che probabilmente si andranno a dividere coi poliziotti a fine turno, e facciamo il check-in per il volo.
Siamo in abbondante anticipo, e ci permettiamo un giro tra i banchi dei souvenir, dove tra gli immancabili rum, habanos, posacenere, magliette e bandiere, spiccano le mapas di Cuba.
“Ma come, alle partenze!?! Ma razza di id…., le piantine servono a chi arriva, non quando si lascia il paese…”
Ci facciamo su una risata, e mettiamo a memoria per il prossimo viaggio.
Paghiamo il visto d’uscita(25 cuc$) e col terrore di essere segnalati per i sigari senza ricevuta( sigari tra l’altro già imbarcati insieme al rum nelle valige), passiamo l’immigrazione, riconsegnando il tagliando religiosamente custodito durante tutta la vacanza.
Al di là un mondo di negozietti, boutiques, e duty-free da fare invidia al povero Victor Novorski, “ospite “ del JFK di New York in “The terminal”.
Ultima Bucanero, e poi via sull’aereo che, dopo uno scalo a Montego Bay, Jamaica, per rifornimento e imbarco passeggeri, ci porterà in 12 ore in Italia, purtroppo a casa.
All’arrivo a Malpensa il ritiro bagagli è veloce.
Passiamo anche qui l’immigrazione: nulla a che vedere con i due minuti di puro terrore passati allo sportello a Cuba, davanti ad una silenziosissima e severissima donna in uniforme intenta a spulciare il passaporto in ogni sua pagina.
Qui si va via veloci, davanti ad un distratto Finanziere che a malapena vede passare i passaporti di quelli che gli sfrecciano davanti, riuscendo difficilmente a controllare proprietario e portatore.
Enorme, mega rifornita, sontuosa e grassa colazione: carne, polpette, spaghetti, riso, pizza…oltre alla solita valanga di frutta fresca, ai dolci, ai salumi, le uova, gli yogurth, la frutta secca, i cereali di ogni forma e colore, latte succhi di frutta caffè cioccolata tè…
Carichiamo le valige e via per l’ultimo giro per “HABANA VIEJA”.
La fortezza, la piazza( dove sono soggetto involontario di un ragazzo che in 30 secondi, forse meno, mi fa una caricatura, senza nemmeno accorgermene), la Cattedrale.
Passiamo dalla Bodeguita del Medio, un buco per turisti, con un bancone pieno di bicchieri di monito.
Proseguiamo per la città, dove le persone si ritrovano a chiacchierare davanti a case un tempo sontuose, ora decadute e cadenti, dentro i cui cortili, come in gallerie d’arte, sono esposti quadri coloratissimi e allegri, ennesimo contrasto della nostra esperienza cubana.
Giù per Obispo, l’ex convento di S. Francesco d’Assisi e la chiesa, oramai sconsacrata, sede oggi di mostre e di concerti di musica classica.
Qui per la Pek è come tornare a casa: ”Giotto en Padua”, la Cappella degli Scrovegni, in miniatura, è riprodotta nelle sale al primo piano, con tutti i suoi affreschi.
Pausa pranzo ridotta ad un frullato di papaia, un tè freddo, e un mojito.
Quattro passi ancora, a zonzo, e poi via, si parte verso l’aeroporto Josè Martì.
Visto che ci era andata troppo bene, 2 annoiati poliziotti, posteggiati sullo spartitraffico, ci multano perché abbiamo attraversato un metro di linea continua gialla per accostarci a loro a chiedere informazioni:nemmeno il regolamento della Formula 1 è così inflessibile.
Riconsegniamo l’auto e paghiamo a loro la multa che probabilmente si andranno a dividere coi poliziotti a fine turno, e facciamo il check-in per il volo.
Siamo in abbondante anticipo, e ci permettiamo un giro tra i banchi dei souvenir, dove tra gli immancabili rum, habanos, posacenere, magliette e bandiere, spiccano le mapas di Cuba.
“Ma come, alle partenze!?! Ma razza di id…., le piantine servono a chi arriva, non quando si lascia il paese…”
Ci facciamo su una risata, e mettiamo a memoria per il prossimo viaggio.
Paghiamo il visto d’uscita(25 cuc$) e col terrore di essere segnalati per i sigari senza ricevuta( sigari tra l’altro già imbarcati insieme al rum nelle valige), passiamo l’immigrazione, riconsegnando il tagliando religiosamente custodito durante tutta la vacanza.
Al di là un mondo di negozietti, boutiques, e duty-free da fare invidia al povero Victor Novorski, “ospite “ del JFK di New York in “The terminal”.
Ultima Bucanero, e poi via sull’aereo che, dopo uno scalo a Montego Bay, Jamaica, per rifornimento e imbarco passeggeri, ci porterà in 12 ore in Italia, purtroppo a casa.
All’arrivo a Malpensa il ritiro bagagli è veloce.
Passiamo anche qui l’immigrazione: nulla a che vedere con i due minuti di puro terrore passati allo sportello a Cuba, davanti ad una silenziosissima e severissima donna in uniforme intenta a spulciare il passaporto in ogni sua pagina.
Qui si va via veloci, davanti ad un distratto Finanziere che a malapena vede passare i passaporti di quelli che gli sfrecciano davanti, riuscendo difficilmente a controllare proprietario e portatore.
mercoledì, maggio 21, 2008
CUBA-7
03/05/2008
Prima di riprendere l’autopista decidiamo di goderci un po’ tranquillità attraversando paesini e godendo delle ultime immagini della gente delle campagne cubane, dei carretti coi cavalli, dei ragazzi scalzi che giocano a baseball per la strada, delle torte della festa, dei camion carichi di lavoratori…
Lungo l’autopista un curioso ristoro volante: ragazzi con spiedi carichi di pollo e cosciotti di maiale arrosto.
Ma Cuba è anche un’autostrada che ti coglie di sorpresa, finendo improvvisamente da tre corsie in una stretta inversione a U.
Crepi l’avarizia, ultima notte col botto in uno dei più lussuosi alberghi de L’Avana: HOTEL RIVIERA( 110 cuc$).
Un lussuoso albergo con enorme hall simile ad una galleria d’arte, un ristorante da troppe forchette, un’enorme piscina con trampolino, sala per spettacoli di cabaret( peccato non capire nulla), un piano di negozi, un bar, una caffetteria e un ristorante panoramico su al 20° piano.
Il tutto sul MALECON, proprio in faccia all’Oceano.
La nostra camera all’8° piano è enorme, con tavolino e posacenere in marmo, con una fresca terrazza dalla quale si gode uno splendido panorama del lungomare de L’Avana.
Ma nonostante il lusso, la pecca( come in tutti i posti che ci hanno ospitato) è proprio dietro la porta:il bagno è disastroso…
Guida alla mano partiamo nel nostro giro “Centro Habana”.
Tappa principale il “Capitolio”, già sede del parlamento cubano, fatto erigere con capitali statunitensi a immagine e somiglianza del Washington Capitol Building.
Prendiamo una guida( in inglese) che ci illustrerà i fasti del passato attraverso la sontuosità e le ricchezze dei materiali usati per la costruzione di questo enorme palazzo, ricco di sale finemente affrescate, di marmi italiani( se ne contano un’ottantina ) e di legni finemente intarsiati(rigorosamente mogano cubano).
Il tutto naturalmente condito da un profondo orgoglio nazionalista.
Il salone centrale con l’enorme statua di bronzo( la terza statua indoor al mondo per stazza), il diamante da 22 kt incastonato nel pavimento( pietra miliare di partenza per il calcolo di tutte le distanze dalla capitale nello stato di Cuba) , gli affreschi in stile rinascimentale italiano, il portone con formelle di bronzo con la storia della Repubblica di Cuba, gli stucchi, i gessi: nulla da invidiare alla ricchezza del palazzo degli zar di Russia.
E per la costruzione di tale magnificenza, dal ’24 al ’29, sono morti solo 3 operai: un risultato invidiabile che appare ancora come un miraggio al giorno d’oggi nel mondo “occidentale” del lavoro.
Al di fuori è un brulicare di macchine, pedoni, e coco-taxi, mezzo di trasporto per turisti, ricavato da una vespa divenuta triciclo, a cui è stata aggiunta una copertura al divanetto posteriore.
GRAZIOSISSIMI:
Subito dietro il Capitolio, la “Real Fabbrica de Tabacos Partagàs”, dove proviamo ad entrare per osservare le arrotolatrici al lavoro, ma giustamente sabato e domenica non lavorano: e sarà questa la prima tappa del prossimo viaggio a Cuba.
Il giro continua per il Palazzo Bacardì, il Museo della Rivoluzione, il relitto del Granma.
Poi il Prado, principale via di passeggio a L’Avana.
Lo sfarzo si affianca al rudere: palazzi degli anni ’20 mantenuti come se il tempo si fosse fermato accanto a facciate svuotate e cadenti.
Un simpatico jinteros( letteralmente procacciatore di affari; da notare che al femminile assume tutt’altra connotazione ) ci decanta la bontà e la convenienza del suo ristorante, ricavato in uno stupendo palazzo, con lampadari di cristallo, stucchi, vetrate colorate e affreschi.
Siamo su una terrazza sul Prado, cena a base di aragosta e gamberi, degno di un’ultima cena.
La solita sorpresa, sempre in positivo, è il conto: aragosta, gamberi, birre, dolce( veramente ottimo, da leccare il piatto) e rum a 40 cuc$ ( 28€).
Rientriamo in albergo col buio, una passeggiata lungo il Malecon, e poi a nanna.
Prima di riprendere l’autopista decidiamo di goderci un po’ tranquillità attraversando paesini e godendo delle ultime immagini della gente delle campagne cubane, dei carretti coi cavalli, dei ragazzi scalzi che giocano a baseball per la strada, delle torte della festa, dei camion carichi di lavoratori…
Lungo l’autopista un curioso ristoro volante: ragazzi con spiedi carichi di pollo e cosciotti di maiale arrosto.
Ma Cuba è anche un’autostrada che ti coglie di sorpresa, finendo improvvisamente da tre corsie in una stretta inversione a U.
Crepi l’avarizia, ultima notte col botto in uno dei più lussuosi alberghi de L’Avana: HOTEL RIVIERA( 110 cuc$).
Un lussuoso albergo con enorme hall simile ad una galleria d’arte, un ristorante da troppe forchette, un’enorme piscina con trampolino, sala per spettacoli di cabaret( peccato non capire nulla), un piano di negozi, un bar, una caffetteria e un ristorante panoramico su al 20° piano.
Il tutto sul MALECON, proprio in faccia all’Oceano.
La nostra camera all’8° piano è enorme, con tavolino e posacenere in marmo, con una fresca terrazza dalla quale si gode uno splendido panorama del lungomare de L’Avana.
Ma nonostante il lusso, la pecca( come in tutti i posti che ci hanno ospitato) è proprio dietro la porta:il bagno è disastroso…
Guida alla mano partiamo nel nostro giro “Centro Habana”.
Tappa principale il “Capitolio”, già sede del parlamento cubano, fatto erigere con capitali statunitensi a immagine e somiglianza del Washington Capitol Building.
Prendiamo una guida( in inglese) che ci illustrerà i fasti del passato attraverso la sontuosità e le ricchezze dei materiali usati per la costruzione di questo enorme palazzo, ricco di sale finemente affrescate, di marmi italiani( se ne contano un’ottantina ) e di legni finemente intarsiati(rigorosamente mogano cubano).
Il tutto naturalmente condito da un profondo orgoglio nazionalista.
Il salone centrale con l’enorme statua di bronzo( la terza statua indoor al mondo per stazza), il diamante da 22 kt incastonato nel pavimento( pietra miliare di partenza per il calcolo di tutte le distanze dalla capitale nello stato di Cuba) , gli affreschi in stile rinascimentale italiano, il portone con formelle di bronzo con la storia della Repubblica di Cuba, gli stucchi, i gessi: nulla da invidiare alla ricchezza del palazzo degli zar di Russia.
E per la costruzione di tale magnificenza, dal ’24 al ’29, sono morti solo 3 operai: un risultato invidiabile che appare ancora come un miraggio al giorno d’oggi nel mondo “occidentale” del lavoro.
Al di fuori è un brulicare di macchine, pedoni, e coco-taxi, mezzo di trasporto per turisti, ricavato da una vespa divenuta triciclo, a cui è stata aggiunta una copertura al divanetto posteriore.
GRAZIOSISSIMI:
Subito dietro il Capitolio, la “Real Fabbrica de Tabacos Partagàs”, dove proviamo ad entrare per osservare le arrotolatrici al lavoro, ma giustamente sabato e domenica non lavorano: e sarà questa la prima tappa del prossimo viaggio a Cuba.
Il giro continua per il Palazzo Bacardì, il Museo della Rivoluzione, il relitto del Granma.
Poi il Prado, principale via di passeggio a L’Avana.
Lo sfarzo si affianca al rudere: palazzi degli anni ’20 mantenuti come se il tempo si fosse fermato accanto a facciate svuotate e cadenti.
Un simpatico jinteros( letteralmente procacciatore di affari; da notare che al femminile assume tutt’altra connotazione ) ci decanta la bontà e la convenienza del suo ristorante, ricavato in uno stupendo palazzo, con lampadari di cristallo, stucchi, vetrate colorate e affreschi.
Siamo su una terrazza sul Prado, cena a base di aragosta e gamberi, degno di un’ultima cena.
La solita sorpresa, sempre in positivo, è il conto: aragosta, gamberi, birre, dolce( veramente ottimo, da leccare il piatto) e rum a 40 cuc$ ( 28€).
Rientriamo in albergo col buio, una passeggiata lungo il Malecon, e poi a nanna.
lunedì, maggio 19, 2008
CUBA-6
02/05/2008
Sveglia presto, colazione abbondante, e un attimo di pace prima di mettersi in macchina.
Facciamo 4 passi per Vinales, ma non c’è un gran che da vedere.
Sulla piazza principale vendono gadgets per turisti, dalle foto del Che alle bandiere di Cuba ai manufatti locali.
Un piccolo mercato sotto i portici delle case della via principale, con le massaie intente a rovesciare vestiti, come in tutti i mercati d’Italia.
Ci dirigiamo a visitare una grotta, arriviamo poco dopo l’apertura, siamo i primi della giornata.
Tant’è che anche la barca che ci deve portare a fare il giro non è ancora arrivata.
Avranno pensato”...ma questi italiani, non dormono la mattina???”.
Concrezioni come “il teschio”, “il serpente”, “la bottiglia di champagne”, sono alcune delle suggestive figure che con chiaroscuro e un po’ di fantasia si vengono a incontrare.
Poi dritti al “MURAL DE LA PREHISTORIA”, un murales di 120 metri, realizzato nel ’61 da 15 persone in 5 anni di lavoro.
Date una parete uguale a 3 writers e ve ne faranno di migliori in 15 giorni. DELUDENTE!!!
Tutto intorno i mogote, montagne calcaree piene di concrezioni.
Non possiamo tornare a casa bianche dopo una settimana ai caraibi, quindi oggi mezza giornata di mare a CAYO Jutias, un’isola ora collegata alla terra da una stretta strada soprelevata.
Prima di arrivarci troviamo ben due checkpoint, dove prendono nota di targa, numero di occupanti e nazione di provenienza.
Dopo quasi un chilometro tra le acque turchesi, arriviamo al faro fatto erigere dagli americani.
La spiaggia è davvero bianca, dà persino fastidio senza inforcare gli occhiali.
Finissima sabbia bianca, alberi sul bagnasciuga, ombrelloni fatti di legno e foglie di palma: da cartolina.
La giornata corre veloce nell’ozio, al sole e nell’acqua limpida.
Viene sera in fretta e torniamo alle nostre casette nel bosco, per l’ultima sera nella tranquillità, prima di rientrare domani nel caos metropolitano di L’Avana.
Sveglia presto, colazione abbondante, e un attimo di pace prima di mettersi in macchina.
Facciamo 4 passi per Vinales, ma non c’è un gran che da vedere.
Sulla piazza principale vendono gadgets per turisti, dalle foto del Che alle bandiere di Cuba ai manufatti locali.
Un piccolo mercato sotto i portici delle case della via principale, con le massaie intente a rovesciare vestiti, come in tutti i mercati d’Italia.
Ci dirigiamo a visitare una grotta, arriviamo poco dopo l’apertura, siamo i primi della giornata.
Tant’è che anche la barca che ci deve portare a fare il giro non è ancora arrivata.
Avranno pensato”...ma questi italiani, non dormono la mattina???”.
Concrezioni come “il teschio”, “il serpente”, “la bottiglia di champagne”, sono alcune delle suggestive figure che con chiaroscuro e un po’ di fantasia si vengono a incontrare.
Poi dritti al “MURAL DE LA PREHISTORIA”, un murales di 120 metri, realizzato nel ’61 da 15 persone in 5 anni di lavoro.
Date una parete uguale a 3 writers e ve ne faranno di migliori in 15 giorni. DELUDENTE!!!
Tutto intorno i mogote, montagne calcaree piene di concrezioni.
Non possiamo tornare a casa bianche dopo una settimana ai caraibi, quindi oggi mezza giornata di mare a CAYO Jutias, un’isola ora collegata alla terra da una stretta strada soprelevata.
Prima di arrivarci troviamo ben due checkpoint, dove prendono nota di targa, numero di occupanti e nazione di provenienza.
Dopo quasi un chilometro tra le acque turchesi, arriviamo al faro fatto erigere dagli americani.
La spiaggia è davvero bianca, dà persino fastidio senza inforcare gli occhiali.
Finissima sabbia bianca, alberi sul bagnasciuga, ombrelloni fatti di legno e foglie di palma: da cartolina.
La giornata corre veloce nell’ozio, al sole e nell’acqua limpida.
Viene sera in fretta e torniamo alle nostre casette nel bosco, per l’ultima sera nella tranquillità, prima di rientrare domani nel caos metropolitano di L’Avana.
CUBA-5
01/05/2008
Salutiamo velocemente i padroni di casa, riusciamo ad evitare comizio, corteo ed adunanza del 1° maggio e ci dirigiamo a nord-ovest verso L’Avana lungo l’autopista.
Come al solito ci perdiamo nello smisurato dedalo di vie e strade non segnalate della città, ma senza troppi drammi ne usciamo a Ovest, direzione Pinar del Rio.
Stiamo procedendo tranquillamente quando un uomo in divisa si butta letteralmente davanti alla macchina( e per poco non si ritrova suo malgrado a controllare di persona come è fatto il sotto dui una 206).
Ci chiede un passaggio: che fai, non ti fidi di un uomo in divisa?
E così proseguiamo il viaggio in 3.
Instauriamo una conversazione in italo-spagnolo.
E’ molto simpatico, e conosciamo così un po’ di vita dei ragazzi cubani.
E’ un sorvegliante, fa servizio presso una piantagione di tabacco( la migliore, dice lui), dove ci spiega deve andare a lavorare.
Doveva cominciare alle otto( adesso sono già le 3 del pomeriggio), ma siccome non ha trovato passaggi prima, quando arriverà inizierà il suo turno di otto ore.
Già, perchè qui si usa così: non c’è fretta, non ci sono orologi, non c’è l’assillo di dover arrivare in tempo per fare qualcosaa. Di tempo ce n’è sempre abbastanza.
Anzi rimane stupito del nostro modo di lavorare, col cartellino per le timbrature, con le giornate rigidamente scandite, sempre uguali a sè stesse.
Altra verità dei cubani: IL MOJITO NON ESISTE. O meglio, esiste per i turisti. Qui nelle grandi occasioni bevono rhum solo, ballano, e fumano il sigaro.
Insiste e ci porta dal suo capo, alla piantagione di tabacco: ci fa girare in uno sterrato di terra rossastra, che termina in uno spiazzo con tre capanne, 5 persone e un paio di cani.
“OK, è finita! Qui ci sequestrano, derubano, ammazzano, e poi fanno sparire ogni traccia del nostro soggiorno!”
Ci viene incontro il cicerone della fazenda, un tizio sorridente dal Rolex d’oro, ci saluta, e chiede al capo della baracca qualcosa di lucente, che gli consegna in mano.
“Ci fanno fuori con un colpo alla testa...”
Si rivela invece molto disponibile e loquace: per cominciare da una serie di mazzi di sigari ben allineati su un’asse, prepara un Cohiba( Churchill) per me. Ne buca la testa, me lo porge, me lo fa accendere, e fumare con calma. Lo stesso fa con un Romeo y Julieta ( Corona) per la Pek.
Inizia così a raccontarci la storia dei sigari, dalla coltivazione della pianta, all’essicazione, alla arrotolatura( che resterà il nostro desiderio irrealizzato di tutta la vacanza) fino alle tecniche di lavorazione delle singole foglie prima della torceadura.
Ci offre un buon caffè e ci spiega i 5 modi per riconoscere se un sigaro è o meno un buon sigaro:
1- soffiando nel piede(la parte che si accende), il sigaro si gonfia, perchè è totalmente sigillato.
2- se lo si rolla delicatamente tra il pollice e l’indice e lo si ascolta, lo si sente scricchiolare moderatamente, perchè le foglie sono seccate al punto giusto.
3- con la stessa manovra, dal sigaro non deve uscire una briciola di tabacco, segno che la “tripa” è composta unicamente da foglie intere.
4- il colletto( la parte col nome della fabbrica) è dai colori brillanti, in rilievo.
5- immergendo la testa del sigaro in un buon caffè, resta al palato un gusto ancor più dolce nella boccata( già, e non tirata, perchè mai aspirarne il fumo, è veramente pesante).
Mi lascio convincere ad acquistare una quindicina di buoni sigari per un buon prezzo.
Ci congediamo, felici di questa avventura, fuori dagli schemi della classica vacanza cubana.
Saliamo lungo la montagna, e arriviamo a Vinales.
Il bel complesso dell’albergo migliore di Vinales, con mega piscina con vista mozzafiato sulla vallata, è come al solito al completo, ma c’è una camera in un albergo consociato, la loro succursale.
Due ragazzi italiani ci dicono che” si, è bello, ma un gradino sotto questo…”.
Poco importa: per 55 cuc$ a notte ( 38.5€) decidiamo di fermarci.
Le indicazioni sono precise, ci ritroviamo in uno slargo/posteggio sulla strada provinciale, e l’indicazione HOTEL RANCHO SAN VICENTE.
Passato un ponticello di legno c’è il paradiso, e noi dormiremo qui due notti.
Un complesso di una trentina di piccole casette in legno, con patio, poltroncine, parete a vetrata, totalmente immerse nella foresta.
Un esempio di villaggio eco-compatibile, dove la pace regna sovrana: le palme alte oltre 20 metri fanno ombra, gli uccelli cantano, e galli, galline, pulcini, faraone, tacchini e cani girano, padroni indisturbati, per i vialetti tra le abitazioni.
Come bambini davanti ad un enorme uovo di Pasqua lasciamo giù le valige e ci facciamo un giro in Paradiso.
Apriamo la porta della camera, ma ci fermiamo fuori sulle sdraio estasiati, a ricaricare le batterie di silenzio e aria pura.
Alla tele nel frattempo scorrono le immagini della odierna manifestazione di Plaza de la rivolucion, a L’Avana.
Una marea di 500mila persone festanti, con gli striscioni delle loro fabbriche, le bandiere cubane al vento, bambini in braccio ai loro padri, e gente felice in piazza, senza contestazioni, né violenza, né forza esibita, se non quella dell’unità di un popolo.
Cena a base di mangosta y camarones( aragosta e gamberi) e a nanna presto.
Salutiamo velocemente i padroni di casa, riusciamo ad evitare comizio, corteo ed adunanza del 1° maggio e ci dirigiamo a nord-ovest verso L’Avana lungo l’autopista.
Come al solito ci perdiamo nello smisurato dedalo di vie e strade non segnalate della città, ma senza troppi drammi ne usciamo a Ovest, direzione Pinar del Rio.
Stiamo procedendo tranquillamente quando un uomo in divisa si butta letteralmente davanti alla macchina( e per poco non si ritrova suo malgrado a controllare di persona come è fatto il sotto dui una 206).
Ci chiede un passaggio: che fai, non ti fidi di un uomo in divisa?
E così proseguiamo il viaggio in 3.
Instauriamo una conversazione in italo-spagnolo.
E’ molto simpatico, e conosciamo così un po’ di vita dei ragazzi cubani.
E’ un sorvegliante, fa servizio presso una piantagione di tabacco( la migliore, dice lui), dove ci spiega deve andare a lavorare.
Doveva cominciare alle otto( adesso sono già le 3 del pomeriggio), ma siccome non ha trovato passaggi prima, quando arriverà inizierà il suo turno di otto ore.
Già, perchè qui si usa così: non c’è fretta, non ci sono orologi, non c’è l’assillo di dover arrivare in tempo per fare qualcosaa. Di tempo ce n’è sempre abbastanza.
Anzi rimane stupito del nostro modo di lavorare, col cartellino per le timbrature, con le giornate rigidamente scandite, sempre uguali a sè stesse.
Altra verità dei cubani: IL MOJITO NON ESISTE. O meglio, esiste per i turisti. Qui nelle grandi occasioni bevono rhum solo, ballano, e fumano il sigaro.
Insiste e ci porta dal suo capo, alla piantagione di tabacco: ci fa girare in uno sterrato di terra rossastra, che termina in uno spiazzo con tre capanne, 5 persone e un paio di cani.
“OK, è finita! Qui ci sequestrano, derubano, ammazzano, e poi fanno sparire ogni traccia del nostro soggiorno!”
Ci viene incontro il cicerone della fazenda, un tizio sorridente dal Rolex d’oro, ci saluta, e chiede al capo della baracca qualcosa di lucente, che gli consegna in mano.
“Ci fanno fuori con un colpo alla testa...”
Si rivela invece molto disponibile e loquace: per cominciare da una serie di mazzi di sigari ben allineati su un’asse, prepara un Cohiba( Churchill) per me. Ne buca la testa, me lo porge, me lo fa accendere, e fumare con calma. Lo stesso fa con un Romeo y Julieta ( Corona) per la Pek.
Inizia così a raccontarci la storia dei sigari, dalla coltivazione della pianta, all’essicazione, alla arrotolatura( che resterà il nostro desiderio irrealizzato di tutta la vacanza) fino alle tecniche di lavorazione delle singole foglie prima della torceadura.
Ci offre un buon caffè e ci spiega i 5 modi per riconoscere se un sigaro è o meno un buon sigaro:
1- soffiando nel piede(la parte che si accende), il sigaro si gonfia, perchè è totalmente sigillato.
2- se lo si rolla delicatamente tra il pollice e l’indice e lo si ascolta, lo si sente scricchiolare moderatamente, perchè le foglie sono seccate al punto giusto.
3- con la stessa manovra, dal sigaro non deve uscire una briciola di tabacco, segno che la “tripa” è composta unicamente da foglie intere.
4- il colletto( la parte col nome della fabbrica) è dai colori brillanti, in rilievo.
5- immergendo la testa del sigaro in un buon caffè, resta al palato un gusto ancor più dolce nella boccata( già, e non tirata, perchè mai aspirarne il fumo, è veramente pesante).
Mi lascio convincere ad acquistare una quindicina di buoni sigari per un buon prezzo.
Ci congediamo, felici di questa avventura, fuori dagli schemi della classica vacanza cubana.
Saliamo lungo la montagna, e arriviamo a Vinales.
Il bel complesso dell’albergo migliore di Vinales, con mega piscina con vista mozzafiato sulla vallata, è come al solito al completo, ma c’è una camera in un albergo consociato, la loro succursale.
Due ragazzi italiani ci dicono che” si, è bello, ma un gradino sotto questo…”.
Poco importa: per 55 cuc$ a notte ( 38.5€) decidiamo di fermarci.
Le indicazioni sono precise, ci ritroviamo in uno slargo/posteggio sulla strada provinciale, e l’indicazione HOTEL RANCHO SAN VICENTE.
Passato un ponticello di legno c’è il paradiso, e noi dormiremo qui due notti.
Un complesso di una trentina di piccole casette in legno, con patio, poltroncine, parete a vetrata, totalmente immerse nella foresta.
Un esempio di villaggio eco-compatibile, dove la pace regna sovrana: le palme alte oltre 20 metri fanno ombra, gli uccelli cantano, e galli, galline, pulcini, faraone, tacchini e cani girano, padroni indisturbati, per i vialetti tra le abitazioni.
Come bambini davanti ad un enorme uovo di Pasqua lasciamo giù le valige e ci facciamo un giro in Paradiso.
Apriamo la porta della camera, ma ci fermiamo fuori sulle sdraio estasiati, a ricaricare le batterie di silenzio e aria pura.
Alla tele nel frattempo scorrono le immagini della odierna manifestazione di Plaza de la rivolucion, a L’Avana.
Una marea di 500mila persone festanti, con gli striscioni delle loro fabbriche, le bandiere cubane al vento, bambini in braccio ai loro padri, e gente felice in piazza, senza contestazioni, né violenza, né forza esibita, se non quella dell’unità di un popolo.
Cena a base di mangosta y camarones( aragosta e gamberi) e a nanna presto.
venerdì, maggio 16, 2008
CUBA 4
30/04/2008
Lasciamo felici il nostro Rancho alla volta di Trinidad.
Una strada piena di saliscendi, prima di costeggiare nuovamente il mare.
Proseguiamo distrattamente quando, là in mezzo alla strada, ecco una piccola sagoma scura si sposta di traverso lungo la strada.
Metto a dura prova i freni della 206 per riuscire ad evitare di far diventare puré un grosso granchio.
Aspetto che finisca il suo attraversamento per poi proseguire il nostro cammino su una strada che, guardata più attentamente, si rivela essere completamente tappezzata dei poveri resti di grossi granchi rossi.
Arriviamo a Trinidad: finalmente il turismo a Cuba c’è, e si vede.
Orde di turisti che insieme a noi visitano la coloratissima e ordinatissima città, già patrimonio dell’UNESCO.
Sulla piazza una scolaresca locale fa lezione e disegna su fogli bianchi usando come banco il selciato della piazza: ah come invidio questi bambini sorridenti, che fanno lezione sotto il soffitto azzurro del cielo del buon Dio.
Un giro veloce anche al mercatino, dove sono gettonatissime le maglie bianche e le bamboline della santeria cubana(che a noi europei fanno molto riti woo-doo).
Facciamo una sosta per fare qualche acquisto per noi, stavolta rhum, ma non il classico e inflazionato Havana Club, che riempie ogni angolo, strada, o trattore cubano.
Ritorniamo dal nostro posteggiatore ufficiale Naranjo, che ci indica la strada per uscire dal dedalo di viottoli ciottolati di questa perla di città.
Ripercorriamo la strada dei granchi e arriviamo a Cienfuegos.
Sembra una città un po’ più caotica delle altre che abbiamo trovato sin’ora.
Il primo pensiero, viste le sorprese avute, anche nei precedenti viaggi, è trovare subito una sistemazione per evitare di collaudare i sedili della 206 per la notte.
Ma ben presto ci accorgiamo che sarà dura.
In occasione della festa del primo di maggio, giorno di grande festa in tutta Cuba, si spostano migliaia di persone, e quindi in tutti gli alberghi della città la risposta è la stessa:”NO ROOM, SORRY!”.
Per fortuna troviamo un gentilissimo portiere di uno di questi alberghi che ci indirizza verso una casas particulares di una sua conoscente.
Due stanze, piccole ma pulite, graziose, il letto è forse un po’ piccolo(ma più probabilmente siamo noi che siamo fuori misura con i nostri metri e novanta), con tanto di frigo( che riempiamo di un fusto da 5 di acqua per domani) e un televisore, che resterà invece inattivo durante il nostro soggiorno. 28 cuc$ più 6 di colazione.
Decliniamo l’invito di Wilme e Barbara per la cena, che decidiamo di consumare in centro, dove siamo attorniati dai soliti jinteros che appena scoprono la nostra nazionalità cominciano con la solita manfrina del “viva Italia campeòn del mundo de futbol”, e giù a snocciolare la formazione....Buffon Zambrotta Cannavaro Materazzi( testata, imitando il dgesto di Zidane)...fino a Totti e Del Piero.
Non abiamo voglia di sorprese culinarie, quindi optiamo per Dino’s Pizza.
Locale un po’ buio, camerieri lunghi come la fame, servizio....vabbè, siamo a Cuba.
La pizza alla fine è anche buona, la birra la solita Bucanero, e direi che per 8 cuc$ (5,60€) siamo molto contenti.
Torniamo a casa e in breve siamo sopra le coperte( molto caldo, e un umido pazzesco) a dormire.
Lasciamo felici il nostro Rancho alla volta di Trinidad.
Una strada piena di saliscendi, prima di costeggiare nuovamente il mare.
Proseguiamo distrattamente quando, là in mezzo alla strada, ecco una piccola sagoma scura si sposta di traverso lungo la strada.
Metto a dura prova i freni della 206 per riuscire ad evitare di far diventare puré un grosso granchio.
Aspetto che finisca il suo attraversamento per poi proseguire il nostro cammino su una strada che, guardata più attentamente, si rivela essere completamente tappezzata dei poveri resti di grossi granchi rossi.
Arriviamo a Trinidad: finalmente il turismo a Cuba c’è, e si vede.
Orde di turisti che insieme a noi visitano la coloratissima e ordinatissima città, già patrimonio dell’UNESCO.
Sulla piazza una scolaresca locale fa lezione e disegna su fogli bianchi usando come banco il selciato della piazza: ah come invidio questi bambini sorridenti, che fanno lezione sotto il soffitto azzurro del cielo del buon Dio.
Un giro veloce anche al mercatino, dove sono gettonatissime le maglie bianche e le bamboline della santeria cubana(che a noi europei fanno molto riti woo-doo).
Facciamo una sosta per fare qualche acquisto per noi, stavolta rhum, ma non il classico e inflazionato Havana Club, che riempie ogni angolo, strada, o trattore cubano.
Ritorniamo dal nostro posteggiatore ufficiale Naranjo, che ci indica la strada per uscire dal dedalo di viottoli ciottolati di questa perla di città.
Ripercorriamo la strada dei granchi e arriviamo a Cienfuegos.
Sembra una città un po’ più caotica delle altre che abbiamo trovato sin’ora.
Il primo pensiero, viste le sorprese avute, anche nei precedenti viaggi, è trovare subito una sistemazione per evitare di collaudare i sedili della 206 per la notte.
Ma ben presto ci accorgiamo che sarà dura.
In occasione della festa del primo di maggio, giorno di grande festa in tutta Cuba, si spostano migliaia di persone, e quindi in tutti gli alberghi della città la risposta è la stessa:”NO ROOM, SORRY!”.
Per fortuna troviamo un gentilissimo portiere di uno di questi alberghi che ci indirizza verso una casas particulares di una sua conoscente.
Due stanze, piccole ma pulite, graziose, il letto è forse un po’ piccolo(ma più probabilmente siamo noi che siamo fuori misura con i nostri metri e novanta), con tanto di frigo( che riempiamo di un fusto da 5 di acqua per domani) e un televisore, che resterà invece inattivo durante il nostro soggiorno. 28 cuc$ più 6 di colazione.
Decliniamo l’invito di Wilme e Barbara per la cena, che decidiamo di consumare in centro, dove siamo attorniati dai soliti jinteros che appena scoprono la nostra nazionalità cominciano con la solita manfrina del “viva Italia campeòn del mundo de futbol”, e giù a snocciolare la formazione....Buffon Zambrotta Cannavaro Materazzi( testata, imitando il dgesto di Zidane)...fino a Totti e Del Piero.
Non abiamo voglia di sorprese culinarie, quindi optiamo per Dino’s Pizza.
Locale un po’ buio, camerieri lunghi come la fame, servizio....vabbè, siamo a Cuba.
La pizza alla fine è anche buona, la birra la solita Bucanero, e direi che per 8 cuc$ (5,60€) siamo molto contenti.
Torniamo a casa e in breve siamo sopra le coperte( molto caldo, e un umido pazzesco) a dormire.
giovedì, maggio 15, 2008
CUBA-3
29/04/2008
Prima di scappare speriamo almeno nella colazione....
Ma...e il buffet dov’è....
OK! PRO-MEMORIA: cancellare dalla guida l’HOTEL SANTA CLARA LIBRE in plaza.
Iniziamo fiduciosi il nostro giro didattico cominciando dalla famigerata “Fabrica de Tabacos”, una delle più antiche manifatturiere di tabacco, dove prendono vita i tanto rinomati COHIBA, MONTECRISTO, ROMEO&JULIETTE, gli HABANOS, i sigari del Che, di Fidel e di Hemingway.
Ma la fortuna in questa città ci ha voltato le spalle.
Oggi è arrivato un camion, e non si può visitare.
Un veloce batti e ribatti, e ci viene dato il definitivo no.
Poco male, andiamo nel negozio ufficiale, di fronte alla fabbrica, a comperare qualche souvenir per i nostri amici tabagisti.
Uscendo incrociamo una comitiva in visita.
Proviamo a muovere a pietà la donna dell’ingresso, che ci spedisce prima ad acquistare i biglietti d’entrata quattro vie più su presso un’agenzia viaggi, per poi rimbalzarci nuovamente all’entrata e farci tornare sui nostri passi per recuperare i nostri soldi.
Ci muoviamo allora alla volta di un altro monumento fondamentale nella storia della rivoluzione iniziata dal Che.
Il treno ed il Caterpillar usato per farlo deragliare da un manipolo di 19 soldati guidati dal comandante contro 350 soldati ufficiali di Batista sono diventati un monumento-museo a cielo aperto, in cui vengono esposti tra gli altri un piede di porco( qui chiamato "pata de cabra") ed una inutilizzata bottiglia molotov, ricavata da una bottiglia di ginger canadese.
Esaurita in 15 minuti la faccenda, si riparte alla volta di Trinidad.
Il paesaggio cambia, le coltivazioni di canna da zucchero lasciano il passo a colline coperte di fitta vegetazione e alte palme.
Al bivio per Trinidad ci viene una voglia matta di mare, e decidiamo quindi( anche per evitare l’assalto di questuanti di passaggi) di piegare verso RANCHO LUNA, graziosa baia a 5 minuti.
Qui il colorato e omonimo villaggio turistico ci accoglie, e ci coccola, con un all-inclusive(pranzo, cena, colazione ed open bar) da far invidia ai più rinomati Valtour e Francorosso.
Ci accoglie in camera un grazioso cigno creato con gli asciugamani dalla nostra “dame de chambre” che ci fa aprire il cuore e appagare della scelta fatta.
E’ ora di pranzo, e ci rifacciamo della colazione sommaria ricevuta al Santa Clara Libre.
Poi ci aspettano il sole e il caldo mare caraibico.
La giornata scorre veloce prima sulla sabbia bianca, poi tra i tavoli per la cena, ed infine, ancora in parte sotto effetto del fuso italiano, alle nove a nanna.
Prima di scappare speriamo almeno nella colazione....
Ma...e il buffet dov’è....
OK! PRO-MEMORIA: cancellare dalla guida l’HOTEL SANTA CLARA LIBRE in plaza.
Iniziamo fiduciosi il nostro giro didattico cominciando dalla famigerata “Fabrica de Tabacos”, una delle più antiche manifatturiere di tabacco, dove prendono vita i tanto rinomati COHIBA, MONTECRISTO, ROMEO&JULIETTE, gli HABANOS, i sigari del Che, di Fidel e di Hemingway.
Ma la fortuna in questa città ci ha voltato le spalle.
Oggi è arrivato un camion, e non si può visitare.
Un veloce batti e ribatti, e ci viene dato il definitivo no.
Poco male, andiamo nel negozio ufficiale, di fronte alla fabbrica, a comperare qualche souvenir per i nostri amici tabagisti.
Uscendo incrociamo una comitiva in visita.
Proviamo a muovere a pietà la donna dell’ingresso, che ci spedisce prima ad acquistare i biglietti d’entrata quattro vie più su presso un’agenzia viaggi, per poi rimbalzarci nuovamente all’entrata e farci tornare sui nostri passi per recuperare i nostri soldi.
Ci muoviamo allora alla volta di un altro monumento fondamentale nella storia della rivoluzione iniziata dal Che.
Il treno ed il Caterpillar usato per farlo deragliare da un manipolo di 19 soldati guidati dal comandante contro 350 soldati ufficiali di Batista sono diventati un monumento-museo a cielo aperto, in cui vengono esposti tra gli altri un piede di porco( qui chiamato "pata de cabra") ed una inutilizzata bottiglia molotov, ricavata da una bottiglia di ginger canadese.
Esaurita in 15 minuti la faccenda, si riparte alla volta di Trinidad.
Il paesaggio cambia, le coltivazioni di canna da zucchero lasciano il passo a colline coperte di fitta vegetazione e alte palme.
Al bivio per Trinidad ci viene una voglia matta di mare, e decidiamo quindi( anche per evitare l’assalto di questuanti di passaggi) di piegare verso RANCHO LUNA, graziosa baia a 5 minuti.
Qui il colorato e omonimo villaggio turistico ci accoglie, e ci coccola, con un all-inclusive(pranzo, cena, colazione ed open bar) da far invidia ai più rinomati Valtour e Francorosso.
Ci accoglie in camera un grazioso cigno creato con gli asciugamani dalla nostra “dame de chambre” che ci fa aprire il cuore e appagare della scelta fatta.
E’ ora di pranzo, e ci rifacciamo della colazione sommaria ricevuta al Santa Clara Libre.
Poi ci aspettano il sole e il caldo mare caraibico.
La giornata scorre veloce prima sulla sabbia bianca, poi tra i tavoli per la cena, ed infine, ancora in parte sotto effetto del fuso italiano, alle nove a nanna.
martedì, maggio 13, 2008
lunedì, maggio 12, 2008
CUBA-2
28/04/2008
Oggi si viaggia, direzione Santa Clara.
Ci accorgiamo subito che non sarà facile: la segnaletica è quantomeno lacunosa, per non dire inesistente, e senza una pianta ci proviamo.
Troviamo l’autopista, una larga striscia di asfalto, occupata dai più disparati mezzi di trasporto:si va dalle auto più recenti, come la nostra 206 presa a nolo,passando per i camion del primo dopoguerra (con scarico diretto, e quindi fumo nero ad ogni dislivello), arrivando poi ai pullman e finendo con stracarichi carretti trainati da stanchi e vecchi cavalli(uno per carretto, due potrebbero oltrepassare il limite di velocità), senza dimenticare inoltre le biciclette e i pedoni, anche contromano....
Dopo quasi un’ora di tragitto incontriamo un murales, sulla spalla di un ponte, dal volto familiare: sembra la stessa faccia del CHE incontrata la sera prima nel tragitto aeroporto-L’Avana.
Ma in un paese dove ogni pietra trasuda incitamenti alla rivoluzione, potrebbe essere solo un doppione.
Ma al secondo, e ancor di più al terzo, la convinzione lascia il posto alla disperazione: SIAMO TORNATI A L’AVANA!!!
Con rassegnazione si riparte, proviamo a cambiare strada, e questa volta ci va bene.
Prendiamo la Carretera Central, una camionabile sommariamente asfaltata tra un buco ed un altro, che dopo quasi 5 ore ci fa arrivare nel tempio della rivoluzione, passando per posti con nomi già sentiti: Playa del Est, Varadero, Matanzas....
Avete presente le bianche spiagge, le acque limpide di Varadero? Bene, “forse non tutti sanno che” subito prima e subito dopo questi siti ci siano raffinerie e pozzi petroliferi sulla spiaggia, con tanto di divieto di pesca e balneazione....mah....meditate italiani nei villaggi....
Un enorme mausoleo, grande come un paio di campi di calcio, ricorda il Che nazionale.
Una statua in bronzo su un basamento coperto da lastre di pietra bianca di uno stanco e fiero comandante domina la spianata.
Sui fianchi del mausoleo sono raffigurate scene della vita combattente che lo ha reso famoso.
Il museo però è chiuso il lunedì, e quindi ciccia, si va via.
Pensiamo a dove dormire: vediamo una casas particulares, quella indicata dalla nostra guida; ci sembra pulita e carina, ma i modi del proprietario/gestore non ci convincono.
Proviamo all’albergo sulla piazza principale: hall molto “occidentale”, poltrone in pelle verde, grande parete a specchio, tre persone al piccolo banco della reception.
In un cordiale inglese ci ricorda che le stanze sono dotate di aria condizionata e bagno in camera, privato.
Decantato anche dalla guida per il suo ristorante panoramico sito al decimo piano e dal bar terrazza dell’undicesimo, ci lasciamo convincere.
Mai decisione fu tanto rimpianta.
La stanza si rivela un pozzettiano ripostiglio( vi ricordate ragazzo di campagna...taaac) da sei metri quadrati, con un letto matrimoniale incastonato tra le pareti.
Al fianco del letto un condizionatore anni 80, il cui rumore batterebbe sicuramente i più moderni martelli pneumatici.
L’odore che accompagna materasso, cuscini, lenzuola e i corridoi non sono nemmeno lontanamente assimilabili a nulla di piacevolmente conosciuto.
Rassegnati e delusi decidiamo di concederci almeno un a cena coi fiocchi.
Seguiamo, visto il buon consiglio non seguito sulla casas tipica, la guida e scegliamo un ristorantino dipinto come la piccola copia della “bodeguita del medio” de L’Avana.
Forse chi l’ha scritto non ci ha mai messo piede, perchè il locale è una piccola stanza, con 4 o 5 tavoli, corredata di fornello a bombola con cucina modello casa di campagna anni ’50, con un losco figuro a torso nudo, coperto di un grembiule non esattamente da cucina...
Scappiamo!!!
Nel frattempo un’orda di ragazzi del posto ci propone i più svariati ristoranti tipici, gestiti da fratelli madri sorelle fidanzate chicchessia, che decisamente decidiamo di mandare a quel paese.
Nostro malincuore decidiamo di cenare nel ristorante dell’albergo.
Per 12 cuc$ (8.40€)la cena è servita.
Due miseri piatti, due birre, e via a nanna.
Ah, dimenticavo: ogni volta che chiamate l’ascensore si presenta un omino, seduto su uno sgabello all’interno della stessa, che molto svogliatamente pigia i pulsanti facendo il verso a quei deliziosi bambini in divisa rossa, berretto e bottoni d’ottone che “arredavano” i primi sfarzosi ascensori nei lussuosi americani del primo novecento.
Ci chiudiamo occhi, naso, bocca...e orecchie e andiamo a dormire.
Oggi si viaggia, direzione Santa Clara.
Ci accorgiamo subito che non sarà facile: la segnaletica è quantomeno lacunosa, per non dire inesistente, e senza una pianta ci proviamo.
Troviamo l’autopista, una larga striscia di asfalto, occupata dai più disparati mezzi di trasporto:si va dalle auto più recenti, come la nostra 206 presa a nolo,passando per i camion del primo dopoguerra (con scarico diretto, e quindi fumo nero ad ogni dislivello), arrivando poi ai pullman e finendo con stracarichi carretti trainati da stanchi e vecchi cavalli(uno per carretto, due potrebbero oltrepassare il limite di velocità), senza dimenticare inoltre le biciclette e i pedoni, anche contromano....
Dopo quasi un’ora di tragitto incontriamo un murales, sulla spalla di un ponte, dal volto familiare: sembra la stessa faccia del CHE incontrata la sera prima nel tragitto aeroporto-L’Avana.
Ma in un paese dove ogni pietra trasuda incitamenti alla rivoluzione, potrebbe essere solo un doppione.
Ma al secondo, e ancor di più al terzo, la convinzione lascia il posto alla disperazione: SIAMO TORNATI A L’AVANA!!!
Con rassegnazione si riparte, proviamo a cambiare strada, e questa volta ci va bene.
Prendiamo la Carretera Central, una camionabile sommariamente asfaltata tra un buco ed un altro, che dopo quasi 5 ore ci fa arrivare nel tempio della rivoluzione, passando per posti con nomi già sentiti: Playa del Est, Varadero, Matanzas....
Avete presente le bianche spiagge, le acque limpide di Varadero? Bene, “forse non tutti sanno che” subito prima e subito dopo questi siti ci siano raffinerie e pozzi petroliferi sulla spiaggia, con tanto di divieto di pesca e balneazione....mah....meditate italiani nei villaggi....
Un enorme mausoleo, grande come un paio di campi di calcio, ricorda il Che nazionale.
Una statua in bronzo su un basamento coperto da lastre di pietra bianca di uno stanco e fiero comandante domina la spianata.
Sui fianchi del mausoleo sono raffigurate scene della vita combattente che lo ha reso famoso.
Il museo però è chiuso il lunedì, e quindi ciccia, si va via.
Pensiamo a dove dormire: vediamo una casas particulares, quella indicata dalla nostra guida; ci sembra pulita e carina, ma i modi del proprietario/gestore non ci convincono.
Proviamo all’albergo sulla piazza principale: hall molto “occidentale”, poltrone in pelle verde, grande parete a specchio, tre persone al piccolo banco della reception.
In un cordiale inglese ci ricorda che le stanze sono dotate di aria condizionata e bagno in camera, privato.
Decantato anche dalla guida per il suo ristorante panoramico sito al decimo piano e dal bar terrazza dell’undicesimo, ci lasciamo convincere.
Mai decisione fu tanto rimpianta.
La stanza si rivela un pozzettiano ripostiglio( vi ricordate ragazzo di campagna...taaac) da sei metri quadrati, con un letto matrimoniale incastonato tra le pareti.
Al fianco del letto un condizionatore anni 80, il cui rumore batterebbe sicuramente i più moderni martelli pneumatici.
L’odore che accompagna materasso, cuscini, lenzuola e i corridoi non sono nemmeno lontanamente assimilabili a nulla di piacevolmente conosciuto.
Rassegnati e delusi decidiamo di concederci almeno un a cena coi fiocchi.
Seguiamo, visto il buon consiglio non seguito sulla casas tipica, la guida e scegliamo un ristorantino dipinto come la piccola copia della “bodeguita del medio” de L’Avana.
Forse chi l’ha scritto non ci ha mai messo piede, perchè il locale è una piccola stanza, con 4 o 5 tavoli, corredata di fornello a bombola con cucina modello casa di campagna anni ’50, con un losco figuro a torso nudo, coperto di un grembiule non esattamente da cucina...
Scappiamo!!!
Nel frattempo un’orda di ragazzi del posto ci propone i più svariati ristoranti tipici, gestiti da fratelli madri sorelle fidanzate chicchessia, che decisamente decidiamo di mandare a quel paese.
Nostro malincuore decidiamo di cenare nel ristorante dell’albergo.
Per 12 cuc$ (8.40€)la cena è servita.
Due miseri piatti, due birre, e via a nanna.
Ah, dimenticavo: ogni volta che chiamate l’ascensore si presenta un omino, seduto su uno sgabello all’interno della stessa, che molto svogliatamente pigia i pulsanti facendo il verso a quei deliziosi bambini in divisa rossa, berretto e bottoni d’ottone che “arredavano” i primi sfarzosi ascensori nei lussuosi americani del primo novecento.
Ci chiudiamo occhi, naso, bocca...e orecchie e andiamo a dormire.
CUBA-1
27/04/2008
Dopo un viaggio di 10h e 40, puntualissimi arriviamo a L’Avana. Diluvia, cominciamo bene!
Andiamo al “rent a car” dove dovremmo trovare la macchina: la prenotazione non esiste: continuiamo meglio!
Finalmente partiamo, direzione albergo Il Presidente, senza aver trovato una pianta della città, di sera, un po’ sospettosi di tutto e di tutti : cominciamo bene!
va beh, poi un cocktail di benvenuto ci tira su il morale, e crolliamo, complice il fuso orario.
Dopo un viaggio di 10h e 40, puntualissimi arriviamo a L’Avana. Diluvia, cominciamo bene!
Andiamo al “rent a car” dove dovremmo trovare la macchina: la prenotazione non esiste: continuiamo meglio!
Finalmente partiamo, direzione albergo Il Presidente, senza aver trovato una pianta della città, di sera, un po’ sospettosi di tutto e di tutti : cominciamo bene!
va beh, poi un cocktail di benvenuto ci tira su il morale, e crolliamo, complice il fuso orario.